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Nei prossimi 5 anni, il 100% degli innovatori userà l’AI per generare idee



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La nuova ricerca sui leader della Fast Company’s 50 Most Innovative Companies dimostra come le imprese più visionarie al mondo usino l’AI non per sostituire la creatività, ma per moltiplicarla. Crescita oltre il core business, gestione del rischio con modelli duali e centralizzazione dei processi emergono come le coordinate per il futuro dell’innovazione

Pubblicato il 2 ott 2025



AI e innovazione

Per le aziende più innovative l’innovazione non è una voce accessoria del budget né un laboratorio separato dal resto dell’organizzazione. È, piuttosto, la direzione stessa del business. La ricerca di Bain & Company evidenzia come i leader presenti nella classifica di Fast Company abbiano costruito il loro vantaggio competitivo sulla capacità di reinventare settori interi. Realtà come Waymo, Athletic Brewing e Duolingo non hanno semplicemente migliorato prodotti esistenti, ma hanno introdotto nuovi modelli di fruizione, di consumo e di apprendimento, aprendo spazi che prima non esistevano.

Questo approccio si riflette anche nei numeri. Il 94% delle aziende analizzate intende entrare in nuovi mercati nei prossimi anni e l’88% colloca l’innovazione tra le prime tre priorità strategiche, al pari della performance finanziaria. Non si tratta quindi di intuizioni isolate, ma di una visione condivisa: il futuro non sarà determinato da piccoli aggiustamenti, bensì dalla capacità di anticipare i cambiamenti e posizionarsi in modo radicalmente nuovo rispetto ai concorrenti.

Engine 2, il secondo motore di crescita

Bain introduce il concetto di Engine 2, un secondo motore di crescita che affianca il core business tradizionale. Mentre il primo garantisce stabilità ed efficienza, il secondo ha il compito di esplorare territori inesplorati, che si tratti di nuovi mercati geografici, segmenti di clientela emergenti o tecnologie non ancora consolidate. Questo modello consente alle aziende di non rimanere intrappolate nel presente e di aprire continuamente traiettorie future.

Non sorprende, quindi, che i dati confermino questa visione: le imprese che riescono a mantenere attivi entrambi i motori registrano ritorni totali per gli azionisti ben superiori alla media del settore. L’innovazione, in altre parole, diventa un fattore di resilienza finanziaria, oltre che di posizionamento strategico.

Chiarezza come moltiplicatore

Non basta voler innovare: serve sapere dove farlo e con quale obiettivo. Le aziende più avanzate hanno definito tre pilastri di chiarezza.

  • Primo: un’ambizione quantificata, con obiettivi concreti legati a ricavi, quote di mercato o margini.
  • Secondo: la coerenza strategica: ogni progetto deve essere legato agli asset distintivi dell’impresa.
  • Terzo: la scelta di domini prioritari in cui concentrare energie e risorse.

Questa chiarezza permette di moltiplicare l’impatto degli sforzi. In assenza di direzione, l’innovazione rischia di disperdersi in iniziative scollegate che non producono valore. Con obiettivi e priorità ben definiti, invece, le organizzazioni riescono a muoversi più velocemente e a ridurre il rischio di fallimenti costosi.

Come investono gli innovatori

Un altro dato che sorprende riguarda la gestione dei budget. Non è vero che i più innovativi sono anche i più spendaccioni. Circa metà delle aziende intervistate dichiara di spendere quanto o meno dei propri concorrenti in ricerca e sviluppo. La differenza sta nella distribuzione delle risorse: non nella quantità, ma nella qualità degli investimenti.

Le aziende tradizionali tendono a concentrare la spesa in progetti incrementali, che migliorano ciò che già esiste. Gli innovatori, invece, vedono l’R&D come un portafoglio da riequilibrare costantemente. Allocano più capitale a iniziative di trasformazione, consapevoli che i ritorni più significativi arriveranno da ciò che oggi sembra ancora incerto o sperimentale.

Dal sostenere al trasformare

Il cuore della differenza è nella percentuale di risorse destinate a progetti dirompenti. Mentre le aziende convenzionali impiegano gran parte del budget in innovazioni di sostegno, i leader dedicano oltre il 60% a iniziative trasformative. È un cambio radicale: invece di perfezionare un prodotto già noto, si scelgono scommesse capaci di generare nuovi ecosistemi di valore.

Questa scelta non significa trascurare il core, ma bilanciarlo con investimenti che possano garantire la crescita futura. In questo modo le imprese non solo proteggono la base attuale, ma si preparano a costruire vantaggi competitivi difficilmente replicabili dai rivali.

AI e innovazione

La disciplina del capitale

Innovare non è una questione di entusiasmo, ma di disciplina. Gli investimenti vengono trattati come un portafoglio dinamico, da ribilanciare a seconda delle condizioni di mercato. Se una tecnologia matura più velocemente del previsto, i capitali vengono riallocati; se un settore perde attrattività, si riduce l’impegno.

Questa logica finanziaria applicata all’innovazione consente di ridurre sprechi e di massimizzare il ritorno potenziale. Lungi dall’essere un centro di costo, l’innovazione diventa una leva di creazione di valore misurabile e gestita con rigore.

AI come acceleratore di innovazione

L’AI si è ormai imposta come la nuova cassetta degli attrezzi degli innovatori. Secondo Bain, il 75% delle aziende la utilizza per lo sviluppo dei concept, il 63% per generare idee e prototipi e il 69% per attività di testing e validazione.

Ma i prossimi cinque anni saranno decisivi: quasi il 100% delle imprese prevede di impiegare l’AI in tutte le fasi del processo, fino al lancio e alla crescita sul mercato.

Questa trasformazione non significa sostituire la creatività umana. Al contrario, come afferma Emanuele Veratti, senior partner di Bain, l’AI è un moltiplicatore: amplifica la capacità di sognare più in grande e di conoscere clienti e processi in profondità. Il punto chiave non è cosa fa la macchina da sola, ma come si integra con l’intuizione e l’immaginazione delle persone.

Dove funziona l’AI

I campi in cui l’AI sta già facendo la differenza sono molteplici. Nella generazione di idee, gli algoritmi analizzano dataset immensi – brevetti, trend sociali, ricerche di mercato – e suggeriscono opportunità latenti. Nella prototipazione virtuale, l’AI accelera lo sviluppo, anche attraverso simulazioni con clienti sintetici.

Nel decision making, supporta i manager nella previsione dei tassi di successo, riducendo i fallimenti.

Non meno importante è il contributo all’efficienza. Automatizzando compiti ripetitivi di ricerca, l’AI libera tempo per le attività a più alto valore aggiunto. Alcune aziende dichiarano di aver ridotto i tempi dal concept al lancio di oltre il 20%, un vantaggio competitivo in mercati in cui la rapidità è cruciale.

Dove fallisce l’AI

Nonostante la potenza di calcolo, l’AI mostra limiti evidenti. Non riesce a generare idee realmente radicali, perché si basa su dati storici e tende a replicare schemi esistenti. È avversa al rischio, motivo per cui difficilmente proporrà intuizioni non testate. Inoltre non possiede empatia né comprensione delle sfumature umane, che restano indispensabili nella progettazione di prodotti rilevanti.

Anche la visione strategica richiede un giudizio umano. Decidere quale strada seguire non è solo questione di dati, ma anche di etica, cultura e sensibilità verso la società. Per questo, i leader innovativi insistono: l’AI accelera, ma non sostituisce.

Synthetic personas: valore e rischi

Un’applicazione emergente è l’uso di synthetic personas, archetipi digitali che simulano il comportamento di consumatori reali. Questi modelli possono rivelarsi preziosi per esplorare scenari difficili da testare, come segmenti ancora inesistenti o mercati nascosti. Permettono di ridurre i tempi di validazione e di ampliare le ipotesi analizzabili.

Tuttavia, non sono privi di rischi. Riflettono il bias dei dati di addestramento, possono generare un falso senso di sicurezza e non sostituiscono l’interazione diretta con i clienti. Non a caso, l’89% delle aziende continua a privilegiare la comprensione autentica dei bisogni umani e il 72% integra feedback reali lungo tutto il percorso di sviluppo. Le synthetic personas funzionano solo come amplificatori, non come sostituti.

Superare il rischio con modelli duali

L’innovazione comporta inevitabilmente incertezza. Le aziende leader hanno imparato a gestirla creando due sistemi distinti: uno per i miglioramenti incrementali e uno per i progetti dirompenti. Questo approccio duale consente di bilanciare stabilità e audacia.

Secondo Bain, il 79% delle imprese intervistate adotta già questa separazione. Da un lato si lavora con stage-gate tradizionali, ROI chiari e processi consolidati. Dall’altro si sperimenta con team agili, cicli rapidi e metriche legate alla capacità di apprendere piuttosto che ai ritorni immediati. Così si riduce la paura del rischio e si creano le condizioni per scelte coraggiose.

Innovazione vicina al core

Il modello orientato al core mira a perfezionare prodotti, servizi e processi esistenti. È qui che l’AI viene usata per l’ottimizzazione: automazione, predizione dei comportamenti, riduzione dei costi. L’obiettivo non è rivoluzionare, ma rendere più efficiente ciò che già funziona.

In questo contesto, gli indicatori sono tradizionali: ritorno sugli investimenti, tempi di realizzazione, riduzione dei difetti. È un modello che garantisce stabilità e permette di mantenere la competitività nel breve termine, proteggendo il cuore dell’impresa.

Innovazione dirompente ed esplorativa

Il modello esplorativo, invece, si muove su un terreno incerto. Qui i team cercano bisogni inespressi, nuovi mercati e opportunità ancora poco visibili. L’AI diventa strumento per prototipare rapidamente, testare ipotesi con utenti sintetici, analizzare segnali deboli.

La logica non è quella del ritorno immediato, ma della learning velocity, la velocità con cui si apprende da successi e fallimenti. È un modello che non teme la possibilità di sbagliare, perché ogni errore diventa informazione utile a ridisegnare il percorso.

Centralizzazione e governance

Un’altra evidenza del report riguarda l’organizzazione dell’innovazione. Nonostante la diffusione di strumenti digitali che democratizzano l’accesso, molte imprese stanno centralizzando i processi. Circa il 56% dei leader intervistati prevede che l’innovazione diventerà più accentrata nei prossimi anni.

La centralizzazione risponde alla necessità di governance e di coordinamento delle risorse. Quando gli investimenti diventano più audaci e rischiosi, serve un livello superiore di accountability e di supervisione.

Un modello più centralizzato garantisce che le scommesse sul futuro siano allineate alla visione complessiva e non disperse in iniziative isolate.

Il futuro: AI e ingegno umano insieme

La conclusione della ricerca è chiara: l’innovazione non sarà mai guidata dall’AI da sola. La tecnologia accelera, amplifica e riduce le inefficienze, ma non può rimpiazzare creatività, intuizione ed empatia. I veri breakthrough nasceranno dalla combinazione dei due mondi.

Le aziende che sapranno integrare l’AI con l’intelligenza umana lanceranno prodotti più velocemente e con maggiore aderenza ai bisogni delle persone.

In un contesto in cui il tempo è la risorsa più scarsa, questa sinergia diventerà il vero segreto dell’innovazione duratura. Lontano dall’illusione di un futuro completamente automatizzato, il domani sarà fatto di alleanze tra macchine e persone.

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